Come la guerra economica americana provocò l'attacco a Pearl Harbor


Da Gian Franco Spotti ricevo e pubblico:
COME LA GUERRA ECONOMICA AMERICANA PROVOCO’ L’ATTACCO A PEARL HARBOR

Data: 7 Dicembre 2012

Fonte: Mises Daily (http://mises.org/daily/author/369/Robert-Higgs)

A cura di: Robert Higgs
(Questo discorso fa parte della Conferenza di Arthur M. Krolman in occasione del 30° Anniversario del Summit dei Sostenitori del Ludwig von Mises Institute, Callaway Gardens, Georgia, del 26 Ottobre 2012. Visibile anche su youtube: http://www.youtube.com/watch?v=9p8z1A3TsxU&feature=player_embedded 

Molte persone vengono fuorviate dalle convenzionalità. Ritengono, ad esempio, che gli Stati Uniti andarono in guerra contro la Germania e il Giappone solo dopo la loro dichiarazione di guerra a queste nazioni nel Dicembre del 1941. In verità, gli Stati Uniti erano già in guerra ben prima di fare queste dichiarazioni, una guerra che aveva forme molteplici. Ad esempio, la Marina degli Stati Uniti aveva l’ordine di “sparare a vista” sui convogli marittimi tedeschi, convogli che potevano includere anche navi inglesi, nell’Atlantico del Nord nonché su gran parte della rotta di navigazione tra l’America e la Gran Bretagna, nonostante i sottomarini tedeschi avessero l’ordine di astenersi (e si astennero!) dall’attaccare i bastimenti americani. Stati Uniti e Gran Bretagna si misero d’accordo per condividere controspionaggio, sviluppo di armamenti, test militari congiunti e per intraprendere altre forme di cooperazione correlate alla guerra. L’apparato militare americano collaborò con quello britannico in operazioni di combattimento contro i tedeschi, ad esempio, allertando la marina inglese sull’avvistamento aereo o marino di sottomarini tedeschi che venivano poi attaccati dagli inglesi. Il governo americano si impegnò numerose volte nel fornire forniture e assistenza militare, o di altro tipo, agli inglesi, ai francesi e ai sovietici, che stavano combattendo i tedeschi. Il governo statunitense fornì aiuti e assistenza militare, inclusi aerei da guerra e piloti, ai cinesi che erano in guerra col Giappone (1). I militari americani si impegnarono attivamente assieme agli inglesi, ai paesi del Commonwealth britannico e alle Indie orientali olandesi per future operazioni belliche congiunte contro il Giappone. Ancora più importante il fatto che il governo americano si impegnò in una serie di sempre maggiori stringenti e ostili misure economiche che spinsero i giapponesi in una difficile situazione e che le autorità americane sapevano che sarebbe stata la miccia che avrebbe spinto il Giappone ad attaccare territori e forze americane nella regione del Pacifico nel tentativo di assicurarsi l’approvvigionamento delle materie prime essenziali che americani, inglesi e olandesi (governo in esilio) avevano messo sotto embargo (2).

Esaminate queste dichiarazioni riassuntive di George Victor, non certo un critico di Roosevelt, nel suo ben documentato libro: The Pearl Harbor Myth (il mito di Pearl Harbor):

Roosevelt aveva condotto gli Stati Uniti in guerra contro la Germania già nella primavera del 1941, una guerra su piccola scala. Da allora in poi egli incrementò gradualmente la partecipazione militare americana. L’attacco del Giappone il 7 Dicembre 1941 lo mise nella posizione di incrementarlo ulteriormente e di ottenere una dichiarazione di guerra. Pearl Harbor viene considerato come la fine di una lunga catena di eventi, col contributo degli Stati Uniti che perseguivano una strategia formulata dopo la caduta della Francia. Agli occhi di Roosevelt e dei suoi consiglieri, le iniziative prese agli inizi del 1941 giustificavano una dichiarazione di guerra tedesca contro gli Stati Uniti, una dichiarazione che, con loro grande delusione, non arrivava. Roosevelt disse al suo ambasciatore in Francia, William Bullitt, che l’entrata in guerra americana contro la Germania era certa ma che bisognava aspettare un “incidente” ed egli era fiducioso che i tedeschi glielo avrebbero dato. Stabilire quindi un precedente in cui il nemico avrebbe sparato il primo colpo, era un tema che faceva parte delle tattiche di Roosevelt. Pare infine che fosse arrivato alla conclusione, rivelatasi poi corretta, che il Giappone sarebbe stato più facile da provocare, facendolo attaccare gli Stati Uniti, di quanto lo fosse stato per la Germania (3). Il principio che il Giappone attaccò gli Stati Uniti senza provocazione era tipica retorica. La cosa funzionò perché il pubblico non sapeva che l’amministrazione americana si aspettava una risposta bellica alle iniziative anti-giapponesi intraprese nel Luglio 1941.

Temendo di perdere la guerra con gli Stati Uniti, ed in modo disastroso, i dirigenti politici giapponesi avevano tentato disperatamente di negoziare. Su questo punto, la maggior parte degli storici concordano da tempo. Nel frattempo sono emerse le prove che Roosevelt e Hull rifiutarono di trattare in modo persistente. Il Giappone offrì compromessi e concessioni, alle quali gli Stati Uniti si opponevano con richieste sempre maggiori. Solo dopo aver appreso della decisione del Giappone di entrare in guerra con gli Stati Uniti che Roosevelt decise di interrompere tutti i negoziati. Secondo il procuratore Generale Francis Biddle, Roosevelt disse di sperare in un “incidente” nel Pacifico per portare gli Stati Uniti nel teatro di guerra europeo (4). “

Questi fatti e numerosi altri che puntano nella stessa direzione, non rappresentano per lo più niente di nuovo. Molti di questi erano disponibili al pubblico fin dagli anni 40. Già nel 1953 chiunque poteva leggere una raccolta di saggi fortemente documentati sui vari aspetti della politica estera americana a fine degli anni 30 e inizi anni 40, pubblicati da Harry Elmer Barnes, i quali provavano i numerosi modi dei quali il governo americano era responsabile per il coinvolgimento della nazione nella Seconda Guerra Mondiale. In poche parole si dimostrava che l’amministrazione Roosevelt voleva portare il paese in guerra e lavorò alacremente in varie direzioni per assicurarsi, presto o tardi che ce l’avrebbe fatta, preferibilmente in un modo che avrebbe unito l’opinione pubblica sulla guerra facendo passare gli Stati Uniti come la vittima di un aggressione deliberata (5). Come testimoniò il Segretario della Guerra, Henry Stimson, dopo il conflitto: “avevamo bisogno che i giapponese facessero il primo passo” (6)

Oggi comunque, a oltre settant'anni da quegli eventi, probabilmente nemmeno un americano su mille, o forse su diecimila, ha una vaga conoscenza di questa storia. La fazione pro-Roosevelt, pro-americana, pro-Seconda Guerra Mondiale è stata così efficace in questo paese da dominare l’insegnamento e la narrativa popolare circa l’impegno americano nella “Buona Guerra”.

Verso la fine del 19° secolo l’economia del Giappone iniziò a crescere e si andava verso una rapida industrializzazione. Poiché il Giappone ha poche risorse naturali, molte delle sue industrie nascenti dovevano contare su materie prime importate, come carbone, minerale di ferro, cascami di acciaio, stagno, rame, bauxite, gomma e petrolio. Senza l’accesso a queste importazioni, molte delle quali provenivano dagli Stati Uniti o da colonie europee nel sud-est asiatico, l’economia industriale giapponese si sarebbe paralizzata. Impegnandosi tuttavia nel commercio internazionale, i giapponesi, già nel 1941, avevano costruito un economia industriale moderatamente avanzata. Allo stesso tempo costruirono un complesso militare-industriale per sostenere un esercito e una marina sempre più forti. Queste forze armate consentivano al Giappone di estendere il suo potere verso varie località del Pacifico e dell’Asia Orientale, inclusa la Corea e la Cina del Nord, un po’ come fecero gli Stati Uniti usando la loro crescente potenza industriale per attrezzare le loro forze armate che proiettavano il potere americano verso i Caraibi, l’America Latina e persino nelle lontane Isole Filippine. 

Quando Franklin D. Roosevelt divenne presidente nel 1933, il governo americano cadde sotto il controllo di un uomo al quale non piacevano i giapponesi e che coltivava una romantica simpatia per i cinesi in quanto, così come avrebbero ipotizzato alcuni scrittori, gli avi di Roosevelt avevano fatto i soldi con il commercio con la Cina (7). A Roosevelt non piacevano in genere nemmeno i tedeschi ed in particolare Adolf Hitler, tendendo a favorire i britannici nei suoi rapporti personali e negli affari internazionali. Egli non si curò in modo particolare della politica estera fintanto che il suo New Deal non si esaurì nel 1937.  A partire da quel momento egli faceva pesantemente affidamento sulla politica estera per realizzare le sue ambizioni politiche, incluso il suo desiderio di essere rieletto per una terza volta senza precedenti. 

Quando la Germania iniziò a riarmarsi ed a cercare in modo aggressivo il suo Lebensraum (spazio vitale) alla fine degli anni 30, l’amministrazione Roosevelt collaborò strettamente con i britannici e i francesi in modo da ostacolare l’espansione tedesca. Dopo l’inizio della guerra mondiale nel 1939, questa assistenza americana crebbe sempre di più andando a creare misure come il cosìdetto Destroyer Deal (accordo sulle cacciatorpediniere) e l’ingannevole programma chiamato Lend-Lease (prestito e affitto). Nell’anticipo all’entrata in guerra degli USA, gli staff militari britannici e americani idearono segretamente dei piani per operazioni congiunte. Le forze americane cercavano di creare un incidente che giustificasse una guerra cooperando con la marina inglese nell’attaccare  i sottomarini tedeschi nell’Atlantico del Nord, ma Hitler si rifiutò di abboccare all’amo, negando così a Roosevelt il pretesto che cercava per trasformare gli Stati Uniti un belligerante dichiarato a tutti gli effetti, una belligeranza che la grande maggioranza degli americani non voleva. 

Nel Giugno del 1940, Henry L. Stimson, che era stato Segretario alla Guerra sotto la presidenza di William Howard Taft e Segretario di Stato sotto quella di Herbert Hoover, divenne nuovamente Segretario alla Guerra. Stimson era un leone dell’alta classe anglofila nordorientale e non era un amico dei giapponesi. A sostegno della cosidetta “Politica della Porta Aperta” per la Cina, Stimson appoggiò l’uso di sanzioni economiche per ostacolare l’avanzata giapponese in Asia. Il Segretario del Tesoro Henry Morgenthau ed il Segretario agli Interni Harold Ickes avallarono con vigore questa politica. Roosevelt sperava che queste sanzioni avrebbero spronato i giapponesi a commettere un imprudente errore lanciando un attacco bellico contro gli Stati Uniti che avrebbe coinvolto la Germania perché Giappone e Germania erano alleati. 

Mentre l’amministrazione Roosevelt liquidava bruscamente le aperture diplomatiche giapponesi per armonizzare i rapporti, di fatto impose una serie di sanzioni sempre più severe al Giappone. Il 2 Luglio 1940 Roosevelt firmò il Decreto sul Controllo delle Esportazioni, che autorizzava il Presidente a concedere o a vietare l’esportazione di materiali strategici vitali. In virtù di questo Decreto il 31 Luglio 1940 le esportazioni di carburanti per motori d’aereo e lubrificanti nonché materiali di ferro per fusione e scarti di acciaio, furono limitate. Poi, sempre muovendosi contro il Giappone, Roosevelt appioppò un embargo, con decorrenza 16 Ottobre 1940, su tutte le esportazioni su materiali in ferro e acciaio destinate a paesi che non fossero la Gran Bretagna o nazioni dell’emisfero occidentale. Infine, il 26 Luglio 1941, Roosevelt congelò i depositi giapponesi negli USA, mettendo quindi la parola fine alle relazioni commerciali fra le due nazioni. Una settimana dopo Roosevelt pose l’embargo sulle esportazioni di alcuni tipi di petrolio che facevano ancora parte del flusso commerciale col Giappone. (8) Gli inglesi e gli olandesi seguirono a ruota ponendo sotto embargo le esportazioni verso il Giappone provenienti dalle loro colonie del sudest asiatico.

Roosevelt e i suoi subalterni sapevano di mettere il Giappone in una situazione insostenibile e che il governo giapponese avrebbe presto tentato di sfuggire allo strangolamento entrando in guerra. Avendo decriptato il codice diplomatico giapponese, i dirigenti americani sapevano, fra le altre cose, cosa aveva comunicato il Ministro degli Esteri Tijiro Toyoda all’Ambasciatore Kichisaburo Nomura in data 31 Luglio 1941: “ I rapporti economici e commerciali fra il Giappone e i paesi terzi, guidati da Inghilterra e Stati Uniti, stanno gradualmente diventando così orribilmente tesi da non poter più sopportare a lungo. Pertanto, il nostro Impero, per salvaguardare la propria esistenza, deve prendere le misure per assicurarsi le materie prime dei Mari del Sud “ (9) 

Poiché i criptografi americani avevano anche decriptato il codice navale giapponese, i leaders di Washington sapevano che le “misure” del Giappone avrebbero incluso un attacco a Pearl Harbor (10). Anzi, nascosero questa seria informazione ai comandanti allae Hawaii i quali avrebbero potuto affrontare l’attacco o prepararsi per difendersi. Che Roosevelt e i suoi scagnozzi non abbiano dato l’allarme ha perfettamente un senso: dopo tutto l’incombente attacco rappresentava esattamente ciò che stavano cercando da tempo. Come Stimson scrisse nel suo diario dopo una riunione del Gabinetto di Guerra il 25 Novembre 1941: “ la questione era come dovevamo manovrarli (i giapponesi) per portarli a sparare il primo colpo senza causare troppi danni a noi stessi”. Dopo l’attacco Stimson ammise che “ il mio primo pensiero fu il sollievo…..che si stava delinenando una crisi che avrebbe unito tutto il nostro popolo” (11). 

Note:

1) Vedi “Flying Tigers” (le tigri volanti), Wikipedia. http://en.wikipedia.org/wiki/Flying_Tigers

2) Robert Higgs, “How U.S Economic Warfare Provoked Japan’s Attack on Pearl Harbor” (come la Guerra economica degli USA provocò l’attacco giapponese a Pearl Harbor), The Freeman 56 (Maggio 2006), pag. 36-37

3) George Victor, The Pearl Harbor Myth: Rethinking the Unthinkable (il mito di Pearl Harbor: ripensare l’impensabile), Dulles, Va.: Potomac Books, 2007, pag. 179-180, 184, 185,

4) Ibid., pag. 15, 202, 240

5) Vedi “Perpetual War for Perpetual Peace: A Critical Examination of the Foreign Policy of Franklin Delano Roosevelt and Its Aftermath” (Guerra perpetua per la pace perpetua: un esame critico della politica estera di F.D. Roosevelt e le sue conseguenze), edito da Harry Elmer Barnes (Caldwell, Id., Caxton printers, 1953)

6) Stimson come citato in “Pearl Harbor Myth” (il mito di Pearl Harbor) di Victor, pag. 105

7) Harry Elmer Barnes, “Summary and Conclusions” (riassunto e conclusioni) nella “Guerra perpetua per la pace perpetua: un esame critico della politica estera di F.D. Roosevelt e le sue conseguenze”, edito da Harry Elmer Barnes (Caldwell, Idaho: Caxton Printers, 1953), pag. 682-83

8) Tutte le citazioni in questo paragrafo sono di George Morgenstern, “The Actual Road to Pearl Harbor” (la vera strada per Pearl Harbor), nell’edizione di barnes “Guerra perpetua per la pace perpetua”, pag. 322-23, 327-28

9) Citato in “la vera strada per Pearl Harbor” di Morgenstern, pag. 329

10) Robert B. Stinnett: “Day of Deceit: The Truth About FDR and Pearl Harbor” (il giorno dell’inganno: la verità du F.D. Roosevelt e Pearl Harbor), New York, Free Press, 2000

11) Citato in “la vera strada per Pearl Harbor” di Morgenstern, pag. 343, 384 

Robert Higgs è membro anziano in economia politica per l’Independent Institute ed editore del The Independent Review. E’ stato il destinatario nel 2007 del Premio Gary G. Schlarbaum per il “Lifetime Achievement in the Cause of Liberty”. Potete inviargli un email a: rhiggs2377@aol.com  

Traduzione a cura di: Gian Franco SPOTTI